Trattamento dei rifiuti: vietato fermarsi
Transizione ecologica ed economia circolare rappresentano sì nuove sfide e opportunità, ma richiedono anche un ingente processo di adeguamento da parte del “sistema Italia”. E il fatto che il processo di cambiamento sia stato messo in atto non significa che tutto il sistema sia perfettamente rodato. Ad esempio, il settore dei rifiuti potrebbe esprimere un grande potenziale come forza trainante del processo, ma richiede una politica industriale nazionale appropriata, nuovi impianti e snellimenti burocratici. Sul tema abbiamo sentito l’opinione di Chicco Testa, presidente di Fise – Assoambiente, l’associazione delle imprese che operano in Italia nella gestione dei servizi ambientali.
La conversione in legge del DL 22/2021 ha ufficializzato definitivamente l’istituzione del nuovo ministero della Transizione ecologica e del Cite. Ma l’Italia è “strutturalmente” pronta ad accogliere il cambiamento o è necessario preparare prima il terreno?
La trasformazione del ministero dell’Ambiente voluta da questo Governo era urgente da tempo e, anzi, è arrivata in ritardo. Da anni era chiaro che le politiche ambientali sono strettamente connesse a quelle energetiche e industriali e che non aveva più senso un ministero dell’Ambiente senza competenze economiche sugli strumenti economici, sugli incentivi e sulle tasse ambientali. L’accorpamento delle competenze energetiche del Mise in capo al Mite vanno in questa direzione. L’Italia reale, le imprese, sono da tempo su questa lunghezza d’onda; il paradigma della sostenibilità è stato incluso, da tempo, nelle strategie industriali ed economiche delle imprese. Sarebbe stato davvero difficile definire una strategia ambientale nazionale mantentendo le competenze energetiche in un ministero e quelle ambientali in un altro. L’Italia è pronta alla sfida, anzi chiede di accelerare il processo di riorganizzazione del nuovo ministero e l’approvazione delle norme di semplificazione ambientale attese, previste da Pnrr. Il terreno dal versante delle imprese è già pronto da tempo. Il mondo istituzionale e politico, invece, forse ancora no. Il lavoro del Ministro Cingolani non sarà facile.
Un certo ambientalismo intende ancora il ministero dell’Ambiente e la policy ambientale in senso antindustriale, come sistema di vincoli e prescrizioni spesso ideologiche e che non considerano l’aspetto economico e sociale.
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Innovazione tecnologica, digitalizzazione, sostegno alle imprese: la Transizione ecologica può diventare un driver per la crescita economica del Paese?
Se l’Italia vuole evitare il declino economico è assolutamente indispensabile che scelga la strada dell’innovazione tecnologica, della digitalizzazione, della transizione ecologica ed energetica. Non bisogna dimenticare che l’Italia, da venti anni, ha una crescita più bassa della media europea, una produttività bassa e ferma e investimenti in ricerca insufficienti. La crisi legata al Covid ha dato l’ultimo colpo a un Paese con le fondamenta economiche deboli da decenni. L’occasione della ripresa post pandemia, delle riforme annunciate, dei fondi di Next generation Eu e dei fondi strutturali è irrinunciabile per l’Italia, l’ultimo treno che abbiamo per modernizzare il Paese, superare le incrostazioni burocratiche, la rendita, le inefficienze di sistema. Il rischio vero è il declino. Quindi la transizione dei prossimi anni non solo è un driver per la crescita, ma è uno dei più potenti che abbiamo. Ma servono norme che liberano le energie delle imprese, quindi i processi di semplificazione. Serve una politica industriale nazionale che valorizzi i nostri asset e non ci renda troppo dipendenti da tecnologie e imprese non italiane.
Quali saranno i settori ambientali che traineranno il processo di cambiamento? E quali, invece, quelli che correranno il rischio di rappresentare l’anello debole della catena?
Il settore energetico sarà sicuramente quello che otterrà i maggiori benefici dalle misure attivate per il contrasto ai cambiamenti climatici, per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, compresa la mobilità elettrica e l’idrogeno. Gli incentivi sono potenti e il settore industriale solido è pronto alle sfide impegnative al 2030 e al 2050.
Il settore dei rifiuti urbani e speciali potrebbe essere la sorpresa positiva dei prossimi anni. Gli obiettivi di economia circolare previsti dalle nuove direttive, l’avvio della regolazione Arera e le previsioni del Pnrr potrebbero far fare un salto di qualità a un sistema industriale già maturo, ma che potrebbe diventare ancora poi solido e performante. Già oggi l’Italia è il principale distretto del riciclo europeo, con il 69 % dei rifiuti speciali e il 50% dei rifiuti urbani avviati a riciclo. Ma le sfide dell’economia circolare da qui al 2035 impongono un salto di qualità sia nel sistema delle regole, che nell’assetto industriale e infrastrutturale. È urgente realizzare impianti per 10 miliardi di euro in pochi anni, occorre rimodulare strumenti economici e introdurne di nuovi, semplificare le autorizzazioni e il codice degli appalti. Un settore che potrebbe essere trainante, ma deve essere sostenuto da una politica industriale nazionale appropriata. L’economia circolare sta spostando la gestione dei rifiuti quasi interamente sui mercati, ma i mercati sono instabili e globali e occorre una regolazione attenta e nuova, basti pensare alle difficoltà dei provvedimenti legati all’end of waste.
Assoambiente è l’associazione che in Fise – Federazione imprese di servizi – rappresenta a livello nazionale e comunitario le imprese che operano in Italia nella gestione dei servizi ambientali (dalla raccolta al riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, incluse le attività di bonifica). L’associazione, fin dalla sua costituzione nel 1951, svolge il proprio ruolo di interlocutore rappresentativo delle imprese del comparto con le istituzioni politiche e non e gli organismi tecnici, economici e sociali nazionali ed europei per quanto riguarda le esigenze delle imprese nello sviluppo normativo e nella regolamentazione del comparto. La policy dell’associazione è perseguire un contesto normativo semplificato e applicabile per consentire al settore di crescere, qualificarsi e innovare in linea con i principi europei sull’economia circolare e la transizione ecologica. Per le imprese che operano nella raccolta dei rifiuti urbani, l’associazione da oltre 60 anni (oggi come Assoambiente in ambito Fise, e nell’ambito di Ausitra fino al 1992) sottoscrive il contratto collettivo nazionale di categoria con le organizzazioni sindacali. Il settore dei servizi ambientali: cosa si aspetta da questo processo di riforma e, a sua volta, quale contributo è in grado di offrire? Il settore fattura 25 miliardi di euro l’anno, svolge una attività insostituibile per i cittadini e le imprese ed è un cardine per la competitività dei territori e per le politiche ambientali. Come hanno dimostrato questi mesi di pandemia. Il sistema presenta molte criticità che vanno superate rapidamente: sono necessari impianti di digestione anaerobica, di riciclaggio, di termovalorizzazione, nonché nuove discariche. I segnali di criticità sono molti: l’export fuori regione o fuori Italia, i differenziali territoriali, l’alto valore degli stoccaggi, un eccessivo uso della discarica nei rifiuti urbani, l’alta produzione di rifiuti da rifiuti, il basso tasso di recupero energetico. Il sistema delle imprese ambientali associate ad Assoambiente è pronto a sostenere gli investimenti necessari con le proprie risorse, per raggiungere gli obiettivi ambientali. Non chiede soldi pubblici, ma strumenti economici efficaci, incentivi chiari e stabili; e ai decisori politici di semplificare le norme domanda di realizzare impianti in poco tempo, contrastando la sindrome Nimby, dando certezze agli investitori e realizzando un quadro di regole coerente, semplice, stabile e chiaro. In questo modo, il settore potrà generare PIL aggiuntivo, occupazione qualificata e ulteriori imprese innovative.