Raccolta del vetro.
La pandemia non ha fermato l’incremento nella raccolta e nel riciclo degli imballi di vetro. Certo, la curva ha subito una flessione importante, ma è sempre in crescita. Se infatti fino al 2019 ogni anno il vetro che tornava a nuova vita era minimo del 7% in più rispetto all’anno precedente, nel 2020 l‘incremento è stato solo del 2,6%. Colpa della crisi sanitaria ed economica. «La perdita del turismo – spiega Gianni Scotti, presidente di CoReVe, il Consorzio per la raccolta e il riciclo del vetro – e in generale la prolungata chiusura di bar e ristoranti, dove il consumo di vetro per i liquidi è decisamente maggiore rispetto a quello domestico, hanno determinato una flessione importante del consumo. Nonostante ciò, c’è stato comunque un incremento della raccolta che ci rende sodisfatti. Riteniamo che nel 2021 si possa tornare a vedere una crescita fra il 7% e il 10%».
UN’ITALIA DIVISA IN DUE
Anche con la pandemia, nel 2020 gli italiani hanno differenziato due milioni e 396 mila tonnellate di rifiuti d’imballaggio di vetro, facendo aumentare ulteriormente la resa pro capite: nel 2019 se ne raccoglievano in media 38,7 chilogrammi per abitante, un anno più tardi si è arrivati a 40,4 chilogrammi.
C’è purtroppo una forte sperequazione tra nord e sud Italia. In Meridione, infatti, la media si attestra molto più in basso, a quasi 10 chilogrammi in meno per abitante: «Noi, però – continua Scotti – non vediamo il Sud come un vagone lento, ma come un bacino di possibilità. Il dato ci dice che è ancora altissimo il margine di miglioramento. Possiamo raggiungere obbiettivi davvero eccellenti».
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FRA I PRIMI IN EUROPA
E a proposito di obiettivi, è confortante notare come l’Italia abbia già superato i livelli imposti a livello europeo: «Siamo già ben al di là dei canoni fisati per il 2030. L’obiettivo Ue è del 75%, noi siamo oltre il 78% degli imballi di vetro riciclati. L’Italia, seconda solo alla Germania, è tra i Paesi più virtuosi. Da noi la raccolta è fatta in modo massivo, il prossimo step è però aumentarne la qualità».
E su questo non c’è particolare differenza fra Nord e Sud.
LE CRITICITÀ
In generale, se l’aumento della raccolta porta a porta a discapito di quella stradale ha incentivato i cittadini a separare il vetro dagli altri materiali, contemporaneamente ha posto una serie di problemi legati all’efficienza. Per pigrizia o inconsapevolezza, a casa si è più inclini a lasciare il tappo alla bottiglia dell’olio, a buttare anche il piatto rotto di ceramica e soprattutto a lasciare il sacchetto di plastica in cui si sono trasportate le bottiglie fino al bidoncino. Questa incuria grava fortemente sui costi per il riciclo e ogni anno fa perdere molti frammenti di vetro, che devono essere infine buttati come indifferenziata.
Un vero peccato, per l’ambiente e per il portafoglio dei Comuni. Il riciclo del vetro, infatti, soprattutto se ben fatto, garantisce agli enti la possibilità di sostenere gran parte della raccolta.
VERSAMENTI IN AUMENTO
Nel 2020 CoReVe ha versato alle amministrazioni tre milioni di euro in più rispetto al 2019, per un totale di 86 milioni di euro. «Il consorzio si preoccupa di avviare al riciclo il vetro raccolto dai Comuni o dai suoi delegati» – spiega il presidente Scotti – Ogni quattro anni, stipuliamo con Anci un accordo che stabilisce il costo a tonnellata del materiale che noi acquistiamo. Ma questa cifra è stabilita in base a cinque fasce qualitative. Quindi, meglio è selezionato il rifiuto, più il Comune guadagna. In base all’ultimo accordo, abbiamo stabilito aumenti annui che portino nel 2024 le amministrazioni a sostenere, con i proventi, l’80% della raccolta. I Comuni più virtuosi, quelli nella fascia qualitativa massima, guadagnano oggi 61 euro a tonnellata, nel 2024 ne guadagneranno 73. È uno sforzo molto singificativo per noi, ma crediamo che sia una scelta socialmente giusta».
Il vetro è un materiale che si può riciclare al 100%, in modo anche semplice: fin dai primi tempi della sua produzione bottiglie e contenitori venivano riusati, se indenni, o rimessi nel forno, se rotti. Da un vetro in frantumi, se ne faceva uno nuovo che non aveva perso alcuna caratteristica rispetto a quello fabbricato a partire dalle materie prime vergini. Addirittura, oggi, fondere il vetro necessita di meno energie e quindi di meno costi, rispetto a lavorare la materia prima.
Tutto facile, almeno finché la raccolta è fatta in modo ineccepibile. Più complesso invece se negli impianti arrivano tonnellate di materiale spurio. «Quando parliamo di impianti per il riciclo del vetro – spiega il presidente di CoReVe, Gianni Scotti – parliamo di strutture che costano 20 milioni di euro ciascuna, soprattutto in Italia dove gli impianti sono estremamente all’avanguardia, anche per sopperire a una raccolta abbondante, ma qualitativamente spesso scarsa». Il vetro arriva nell’impianto, dove sofisticate telecamere riconoscono i materiali diversi e potenti augelli “li soffiano via” dal nastro. In primo luogo, vengono esclusi i metalli ferrosi, poi quelli non ferrosi (in particolare l’alluminio), poi le macchine individuano la ceramica e, infine, riconoscono i cristalli che, contenendo piombo, non possono finire negli imballi per alimenti. Ogni volta che le macchine scartano un materiale, a quest’ultimo restano attaccati frammenti di vetro che vanno perduti.
«Enorme è poi il problema dei sacchetti in plastica – conclude Scotti – che molti ancora usano per buttare le bottiglie. Se il sacchetto è integro, la macchina riconosce l’opacità e lo esclude totalmente, gettando anche le bottiglie che contiene. Se invece è lacero, rischia addirittura di rovinare l’impianto». (M.L.)