(Gas serra in agricoltura. A che punto siamo?)
A gennaio 2021 è stata pubblicata la strategia italiana sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra che prevede, entro il 2050, azioni volte a raggiungere la neutralità emissiva. Attualmente sono in corso studi specifici per individuare i principali driver che guidano le emissioni e sapere quali sono le più difficili da ridurre. In Italia esiste un gruppo di lavoro che quantifica le emissioni prodotte dalle attività antropiche e valuta un’ipotesi sulla loro evoluzione ed è formato da referenti del Politecnico di Milano, Enea e Cmcc, Ispra e Rse (ricerca sul sistema energetico, società per azioni italiana, controllata dal gestore dei servizi energetici). Abbiamo chiesto a Eleonora Di Cristofaro, che ne fa parte come rappresentante del dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale di Ispra, di fornirci aggiornamenti in merito all’agricoltura, settore che, a seguito anche delle tensioni politiche e dello scenario bellico, riveste un ruolo strategico in Italia.
Che percentuale rappresentano in Italia le emissioni di gas serra nel settore agricolo e in quello zootecnico?
Sono circa il 9% e derivano, per circa il 72%, dalla gestione degli allevamenti. L’applicazione ai suoli di fertilizzanti sintetici determina un ulteriore 11% di emissioni; un altro 11% deriva dall’apporto di azoto dei residui colturali interrati nei suoli agricoli e da altre fonti azotate ai suoli (apporti di altri fertilizzanti organici, suoli organici, applicazione sui suoli dei fanghi di depurazione delle acque reflue); un ulteriore 5% deriva dalla coltivazione del riso; il restante 2% dalle emissioni di CO2 dovute all’applicazione di urea e carbonati ai suoli e dalla combustione dei residui agricoli. Sul tema Ispra definisce scenari per descrivere le evoluzioni e per la definizione della strategia di decarbonizzazione. Per stimare la proiezione dei capi allevati al 2050 ci si è avvalsi dei risultati delle elaborazioni effettuate dall’Enea che ha utilizzato un modello basato su parametri come l’evoluzione demografica, il consumo di cibo e le produzioni alimentari.
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Dove intervenire per ridurre le emissioni in quest’ambito?
È stata ipotizzata la diffusione di possibili misure di riduzione delle emissioni di ammoniaca e gas serra al 2030 e al 2050 e che riguardano l’alimentazione degli animali, la tipologia dei ricoveri, lo spandimento delle deiezioni zootecniche di bovini, suini e avicoli. Per la decarbonizzazione si prevede una maggiore diffusione di misure su sistemi di rimozione rapida del liquame, il rinnovo frequente delle lettiere, la copertura degli stoccaggi, la produzione di biogas, le tecniche di spandimento dei reflui zootecnici che riducano il tempo di contatto fra gli effluenti e l’atmosfera. Rilevante anche la riduzione del consumo di fertilizzanti sintetici e diete specifiche per le vacche da latte. Alcune di queste tecniche riducono le emissioni di ammoniaca per le quali il settore agricolo è il maggiore responsabile e, di conseguenza, anche le emissioni di protossido di azoto.
Incoraggiare gli agricoltori ad adottare misure efficaci per la mitigazione dei cambiamenti climatici è prioritario e il ruolo dell’Ue nella mitigazione dei cambiamenti climatici è fondamentale dato che definisce gli standard ambientali. La normazione fornisce specifiche tecniche per prodotti, servizi e processi aiutando a proteggere l’ambiente e la salute dei consumatori.
La riduzione delle emissioni di gas serra di fonte agricola è al centro di un progetto Made in Italy. Riguarda una norma a livello CEN che dovrebbe essere pubblicata fra un paio d’anni e che guiderà gli operatori del settore alla certificazione. L’attenzione in questi anni è cresciuta sul fronte della biomassa epigea ed è aumentata anche la sensibilità verso la deforestazione e il commercio di crediti di carbonio a favore dei progetti che aumentano stock di carbonio di origine forestale. Esiste però un altro serbatoio altrettanto importante anche se nascosto alla nostra vista. Quello del carbonio stoccato nel suolo che, se gestito in maniera sostenibile, svolge una funzione essenziale nel processo di mitigazione del cambiamento climatico. Nel settore agricolo, l’incremento degli assorbimenti nel suolo della CO2 atmosferica è in funzione dell’adozione delle pratiche agricole, ma l’effetto degli incrementi degli assorbimenti di CO2 è difficilmente quantificabile perché richiede campionamenti puntuali del suolo che non sono economici e che, per essere rappresentativi, devono essere effettuati a maglie molto strette. L’alternativa sono modelli che mettano in correlazione le pratiche adottate a livello locale con l’attesa variazione di contenuto organico nel suolo.
Il Pnrr rappresenta un’opportunità importante e per determinare la nuova frontiera della nostra agricoltura e noi confidiamo nel proficuo scambio di conoscenze e nella veloce individuazione di metodologie conseguibili presto con efficacia ed efficienza.