(Se la plastica finisce nel piatto)
La plastica è ovunque, dai poli alle zone più remote della terra, dai mari alle fosse oceaniche. Secondo il WWF nel mare si sono accumulate, a oggi, tra le 86 e le 150 milioni di tonnellate di plastica. In particolare, le plastiche monouso rappresentano dal 60 al 95% di tutte quelle presenti e, con la pandemia Covid 19, la plastica “usa e getta” è aumentata. Quando le plastiche entrano nella nostra catena alimentare il problema si trasforma in emergenza. Perché entra in gioco la salute. Recentemente uno studio dell’Università di Amsterdam pubblicato sulla rivista Environment International ha dimostrato che, su 22 campioni di analisi del sangue provenienti da adulti sani, il 77% è risultato essere contaminato da microparticelle di plastica. La ricerca ha messo per la prima volta nero su bianco quello che per gli scienziati fino a ieri era solo ipotizzato e previsto. Abbiamo chiesto di fare chiarezza su questo tema al professor Silvestro Greco, biologo marino dirigente di ricerca della stazione zoologica A. Dhorn di Napoli, nonché presidente scientifico di Slow Food e del consiglio scientifico ambiente e mare di Coldiretti. Greco sta avviando un’analisi su campioni di prelievi di sangue effettuati a soggetti residenti in Calabria, non a caso una Regione con uno dei più alti tassi di consumo ittico.
Qual è lo scopo di questa ricerca?
L’emergenza rifiuti è preponderante in mare. Circa l’80% dell’inquinamento che affligge il pianeta proviene da fonti terrestri che scaricano in mare. Se i pesci accumulano livelli significativi di contaminanti dall’ambiente, la conseguenza è che certi prodotti ittici saranno dannosi per la salute in base alla quantità consumata. Per mettere in luce la correlazione fra plastiche, pesce, cibo sto definendo un questionario per avere dati sul genere di pesce preferito e sulla frequenza con cui viene consumato. La sede di questa indagine è Amendolara, in provincia di Cosenza.
Che vie segue la plastica dal mare al piatto?
Buona parte delle micro-plastiche deriva anche dal lavaggio dei tessuti come il pile. Si tende erroneamente a pensare che i rifiuti finiscano nel mare soprattutto a causa dei pescherecci, il cui contributo è, in verità, marginale. Dal momento in cui le plastiche entrano in mare, prende il via un processo di frammentazione: le macroplastiche (più grandi di 5mm) diventano microplastiche (da 0,1 µm a 5 mm), che si trasformano a loro volta in nanoplastiche rendendo praticamente impossibile il loro recupero». Ecco perché se anche la dispersione globale di plastica in natura cessasse ipoticamente oggi stesso, la loro concentrazione sarebbe comunque destinata ad aumentare notevolmente.
Clicca qui per iscriverti alla newsletter di Transizione ecologica Italia: è gratis!
In quale modo l’inquinamento da plastica danneggia la vita marina?
Oltre all’intrappolamento, per esempio, fra reti o sacchetti, sono il soffocamento e l’ingestione. L’impatto dei contaminanti chimici della plastica parte dai livelli inferiori della rete alimentare marina (fitoplancton e zooplancton) e può interessare l’intera catena alimentare. Gli studi evidenziano che molti pesci commerciali come le alici siano attratti dall’odore di questi frammenti plastici quando sono ricoperti da microalghe che ne dissimulano la reale origine sintetica». La situazione del Mediterraneo è particolarmente critica: collegato all’Atlantico dallo stretto di Gibilterra, ha una conformazione semichiusa circondata da tre continenti che agiscono come trappola per i detriti di plastica; inoltre, subisce la pressione antropica di oltre 150 milioni di persone. Tra il 21% e il 54% di tutte le microplastiche globali si trova qui, mentre nel Tirreno c’è la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 129 mila frammenti galleggianti per Km2. Un dato davvero significativo.
Secondo Greco «Le microplastiche vengono rimosse dal tratto intestinale dei pesci prima del consumo con eviscerazione, ma è la nanoplastica che può migrare in altri tessuti. I pesci di grossa taglia hanno un elevato bio-accumulo di contaminanti, ma quelli a ciclo vitale breve sono meno contaminati. Nei banchi della grande distribuzione si trovano esemplari “a norma” di grandezza corretta e controllati. Ciò significa che il pesce è più sostenibile poiché al momento della cattura si è riprodotto almeno una volta. Di queste specie fanno parte triglia, nasello, scorfano, mormora. Alternative al pesce sono decine di specie di molluschi bivalvi dei nostri mari che, avendo un ciclo vitale breve, non hanno tempo di accumulare molti contaminanti. Alcuni come le cozze individuano le plastiche e le espellono» [R.L.]