Dubai Expo fra innovazioni e contraddizioni

Dubai Expo
Dubai Expo
Un evento ricco di esempi interessanti, con qualche nota stonata

Dubai Expo.

Opportunity, sustainability, mobility. Sono questi i temi ricorrenti tra gli obiettivi del mondo – malgrado le difficoltà ancora recentemente emerse in Cop26 – e sono i tre assi portanti di Expo Dubai 2020, inaugurata nell’ottobre 2021, con la partecipazione di 190 Paesi, oltre 200 padiglioni su 400 ettari di deserto appositamente trasformati, integrati di nuova rete metropolitana, mobilità elettrica, impianti fotovoltaici e infrastrutture.

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DUBAI EXPO: IL FUTURO IN CAMPO

Architetture dalla forma e materiali innovativi, attente a risparmio energetico ed economia circolare (anche riguardo alle dismissioni previste post Expo), alcune di grande effetto e spettacolari anche negli interni, tra esperienze immersive largamente affidate al multimediale e alla realtà aumentata, a rappresentare le “vocazionalità” e diversità dei Paesi partecipanti.

Un Expo ricco di eventi e di grande impatto comunicativo, orientato agli obiettivi di cooperazione internazionale, partnership economiche tra Stati e imprese che qui trovano vetrina presso i rispettivi padiglioni nazionali. Settimane tematiche (da clima e biodiversità ai global goal) e giornate internazionali (della solidarietà umana, delle felicità, dell’acqua acqua eccetera) si avvicenderanno sino al 31 marzo 2022.

Dubai Expo
Il padiglione Italia

DUBAI EXPO: UNO SFORZO COERENTE?

Se non c’è dubbio che la “macchina” Dubai Expo abbia successo, c’è però da chiedersi – e forse anche più che nel caso di Expo precedenti – se anche il tema scelto (opportunity, sustainability, mobility) trovi analogo risultato.

Per alcuni no, certamente meno. Costretto tra spettacolarizzazione e modesti reali contributi ai temi fondativi, Expo sembra anche soffrire di una location – Dubai – ancor più innovativa e spettacolare di quanto non si trovi nei 400 nuovi ettari nel deserto.

E allora viene anche il dubbio che tanto dispendio di risorse e energie (Fer comprese) sia sproporzionato al risultato, se non addirittura antitetico. E che non basti, quindi, qualche padiglione a basso consumo energetico o a raffrescamento naturale (i camini di Austria e Spagna o il cordame dell’Italia) per compensarne il bilancio energetico complessivo.

Se infatti qualche informazione/suggestione pur si trova, come nei contributi del padiglione «Mission possible» (opportunity) su esperienze nei Paesi africani, poco (anche quando didascalico/museale per le scolaresche in visita) è realmente innovativo e significativo per chi volesse capire come correggere le distorsioni dell’Antropocene e meglio muoversi verso la sostenibilità. E anche lo stesso vasto sito, che avrebbe potuto essere occasione di generazione di un nuovo paesaggio ad hoc, replica modalità tradizionali (ordinata teoria di padiglioni) integrate da qualche innovazione tecnologica.

DUBAI EXPO: SPAZIO AL VERDE

Uniche attenzioni allo spazio aperto, tra alberi tecnologici e siepi lineari, sono due piccoli parchi con piante di specie adattative a basse esigenze manutentive (chimica compresa) e un sistema di verde interstiziale (tra i padiglioni) per un minimale ombreggiamento/raffrescamento integrato ai grandi “ombrelli” e pensiline fotovoltaiche, qualche vasca d’acqua e sedute. Rari e minuti i giardini di alcuni padiglioni nazionali, tra cui certamente primeggia il «Forest pavillion» di Singapore, città-stato che su verde e forestazione urbana fa bene e da tempo.

DUBAI EXPO: E GLI OBIETTIVI?

Un Expo quindi che sia per struttura sia per narrazione sembra non riuscire a centrare gli obiettivi che si è data, pur nella dichiarata volontà di supportare Agenda Onu 2030. Ma che però già sembra puntare a un maggiore e più concreto impatto – anche “dimostrativo”- nel dopo Expo.

Un laboratorio di idee

Nello spirito del «Connecting minds, creating the future», Dubai si è già attivata come laboratorio di idee per dare forma al suo futuro, anche coinvolgendo esperti internazionali, gruppi di lavoro di studenti, start-up, aziende, sui temi della sostenibilità e della rigenerazione urbana, agganciati agli scenari Dubai 2040 e con due obiettivi prioritari: maggiore vivibilità e minore impatto ambientale.

Per entrambi, fortemente correlati a clima e relative necessità energetiche, nonché alle previsioni di forte incremento demografico, la soluzione la si sta correttamente ricercando nell’integrazione tra innovazione tecnologica e progettazione integrata dello spazio aperto, per individuare soluzioni che migliorino qualità del tessuto urbano e stili di vita dei cittadini. Piani del verde per l’incremento di biodiversità e miglioramento del microclima (qualità dell’aria e riduzione temperature in primis) coordinati con piani d’area per la socialità con servizi essenziali raggiungibili a piedi in 15 minuti. Progetti per nuova edilizia residenziale anche bassa (2-3 piani) integrata a reti eco sociali (spazi verdi, zone di ritrovo, negozi, ristoranti, bar) per riappropriarsi del “sottocasa”. Piani per la mobilità integrata tram, treni airpod controllabili da app, coordinati anche a progetti traffic calming che integrino inverdimento e pedonalizzazione anche su strade urbane esistenti (come già per la Burj Khalifa area).

Non più solo grattacieli e grandi opere, ma anche nuovi paesaggi vivibili e a misura d’uomo, diffusamente in città compresa l’area Expo che – a fine manifestazione – verrà riconvertita nel nuovo quartiere District 2020, iconico e all’avanguardia per opportunità, sostenibilità, mobilità. (F.V.)

 

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